Don Pirlone a Roma - L'ora fatale per Pellegrino Rossi
Don Pirlone a Roma - L'ora fatale per Pellegrino Rossi

In realtà questa vignetta assomiglia a quella descritta da Evangelisti, ma non è uguale. Non c’è lo scheletro di Rossi adagiato alla base della scalinata, ma c’è uno scheletro che trasporta il corpo di Rossi, ancora vivo, ma circondato da segnali di morte e per il quale sta chiaramente per scoccare «L’ora fatale», come recita la didascalia. Ci sono però sufficienti elementi per ritenere con una certa sicurezza che Evangelisti stia facendo riferimento a questa immagine: il Ministro e uno scheletro, la scalinata della Cancelleria (cioè appunto del Consiglio dei Deputati come scritto sul muro), la carrozza.

D’altra parte, dove andare a “pescare” quest’immagine lo suggerisce lo stesso scrittore quando nella bibliografia ragionata che chiude il romanzo scrive: «Di Michelangelo Pinto, Don Pirlone a Roma. Memorie di un italiano dal 1° settembre 1848 al 31 dicembre 1850, 2 voll., Tip. Alessandro Fontana, Torino 1850, ho utilizato alcune caricature, che ho descritto» (p. 244). Michelangelo Pinto (sul quale si veda Mario Marino, L’Archivio Pinto del Museo Centrale del Risorgimento, nel già citato La satira restaurata, p. 19-39) fu un politico molto attivo all’interno della Repubblica romana e, soprattutto, uno dei fondatori del «Don Pirlone». Alla caduta della Repubblica dovette riparare in esilio a Torino dove scrisse e pubblicò l’opera in tre volumi citata da Evangelisti in bibliografia, che altro non è che una narrazione della nascita, vita e dissoluzione del governo repubblicano nell’Urbe. Narrazione compiuta con le parole ma anche con frequenti vignette poste ad illustrazione del testo: la stessa formula del «Don Pirlone» - ma con un taglio che rinuncia quasi del tutto all’ironia e al sarcasmo per votarsi alla documentazione memorialistica - che non a caso veniva citato anche nel titolo dell’opera.

Nel primo volume troviamo l’immagine che Evangelisti cita nel romanzo (è la tav. XL), ad illustrare la morte di Pellegrino Rossi che chiude il capitolo IV. Online è possibile leggere l’introduzione al Don Pirlone a Roma e le pagine che precedono e seguono questa tavola: si può notare, fra le altre cose, che l’uccisione di Rossi è descritta, all’inizio del capitolo V, in maniera molto simile a come lo scrittore la racconta nel romanzo.

Quindi, perché Evangelisti nel romanzo sceglie di descrivere questa vignetta e non quella realmente uscita sul fascicolo del 17 novembre che Folco acquista? Di sicuro non si tratta di una svista: mettendo Don Pirlone a Roma in bibliografia dimostra di conoscere l’opera e quindi di sapere che quelle vignette non sono le stesse uscite sul giornale. Possiamo pensare che Evangelisti non avesse accesso al «Don Pirlone» e che quindi dovesse “accontentarsi” dell’opera di Pinto? Non abbiamo certezze. Come già detto, oggi i numeri della rivista si trovano online, ma non sappiamo da quanto tempo siano disponibili. D’altra parte però il giornale è presente integralmente sia in Archiginnasio che alla Biblioteca Universitaria di Bologna (oltre che in altre biblioteche italiane) e quindi di facile consultazione.

Non se ne può avere la certezza, ma sembra estremamente probabile che Evangelisti scelga volontariamente di “distorcere” leggermente la realtà storica, mettendo sul «Don Pirlone» del 1848 una vignetta pubblicata due anni dopo. Anche sui motivi di questa scelta possiamo interrogarci senza l’ambizione di raggiungere granitiche certezze, ma se si interroga il romanzo è ben chiaro che l’uccisione di Pellegrino Rossi è l’evento decisivo di quel segmento della narrazione, la scintilla che poi conduce alla rivolta del 16 novembre e che mette in moto la parte conclusiva del processo che porterà alla proclamazione del governo repubblicano, che si avvantaggerà proprio del vuoto di potere seguito alla morte del Ministro plenipotenziario. Porre a quel punto quella vignetta non fa altro che ribadire l’importanza simbolica e concreta di quell’omicidio, a cui fra l’altro i protagonisti del racconto prendono parte.

Che il romanzo storico sia l’esempio maggiore dei «componimenti misti di storia e d‘invenzione» lo ha spiegato Manzoni e quindi non ci sorprendiamo che anche Evangelisti, quando necessario al suo racconto, ricerchi la verosimiglianza più che la verità storica (e in questo potrebbe rientrare anche la discrepanza esistente tra la descrizione della vignetta dello scheletro fatta da Evangelisti e la vignetta stessa). Il caso descritto però è curioso e interessante dal nostro punto di vista perché esemplifica come sia possibile “smascherare” questa “manipolazione” delle fonti attraverso un’indagine accurata sulle stesse e sulla loro reperibilità, in seguito alla quale è possibile interrogarsi sulle motivazioni che hanno condotto lo scrittore a fare questa scelta. In questo modo e accumulando altri esempi - non è questa la sede per farlo e soprattutto per spingere l’analisi a un livello più strettamente “letterario” - è forse possibile mettere in luce qualche aspetto del lavoro di un autore, soprattutto di uno scrittore come Evangelisti, che altrimenti rimarrebbe non colto.

 

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Michelangelo Pinto, Don Pirlone a Roma. Memorie di un italiano dal 1° settembre 1848 al 31 dicembre 1850, 3 voll., 2. ed. ma rist., Torino, Stab. tip. di A. Fontana, 1850.

Collocazione: VENTURINI C. 76 / 1-3