18 luglio 2022, 21:45
copertina di Il potere del cane

(The Power of the Dog, Nuova Zelanda-Australia/2021) di Jane Campion (128')

SOTTO LE STELLE DEL CINEMA | DALLA PIATTAFORMA ALLO SCHERMO

Rimanere affascinata dallo straordinario romanzo di Thomas Savage è stata pura gioia, ma non avevo mai pensato di farne un film, visti i tanti personaggi maschili, e i temi profondamente maschili. Mi sono invece chiesta quale regista l’autore, con la sua mascolinità ambigua, avrebbe voluto, e a poco a poco ho avuto la sensazione che lui mi appoggiasse un braccio sulla spalla, dicendomi: “Una pazza che è arrivata ad amare questa storia? Sì, è perfetta”. Ho messo tutta me stessa nel grandioso racconto di Savage, ne sono stata conquistata. In Phil ho sentito l’amante, e la sua tremenda solitudine. Ho percepito l’importanza e la forza di ogni singolo protagonista, e il modo in cui ciascuno si rivela alla fine.

Jane Campion

 

Sotto l’aspetto di un tardo-western dallo sviluppo romanzesco, Il potere del cane cela una forte carica metaforica, già presente nel titolo: lo stesso del libro di Thomas Savage da cui la regista e sceneggiatrice neozelandese lo ha adattato. Il “potere del cane”, infatti, è citato in un versetto dei Salmi letto da uno dei personaggi e si riferisce a quegli impulsi del profondo che, quando salgono alla superficie, possono portare un individuo alla perdizione. Nel Montana dei primi anni Venti Phil Burbank (Benedict Cumberbatch) e suo fratello George (Jesse Plemons) regnano su un grande ranch per l’allevamento dei bovini. Phil è un cowboy macho e sprezzante, sempre in sella e refrattario al sapone, che chiama “grassone” il mite e gentile George e tratta i dipendenti come un padre padrone. Quando il poco attraente fratello sposa Rose Gordon (Kirsten Dunst), vedova di un alcolista suicida e madre dell’adolescente Peter, il virile ranchero si ritrova spiazzato. Rose fa parte del mondo moderno, che sta sostituendo poco a poco i costumi del vecchio West e che l’uomo teme e detesta; ma soprattutto introduce un elemento estraneo, il femminile, nella sua vita celibe e quasi monastica. […] In realtà più colto e raffinato di quanto non voglia apparire (ha studiato lettere classiche a Yale), Phil vive nel mito del suo defunto mentore: il cowboy Bronco Billy, che lo ha cresciuto nel culto della virilità e al quale lo legavano probabili pulsioni omofile. Dopo averlo vessato e deriso, egli decide di assumere lo stesso ruolo nei confronti di Peter: gli insegna a cavalcare, gli regala un lazo (che evoca la corda con cui il padre del ragazzo si è impiccato) pazientemente intrecciato dalle sue mani. Pare che anche l’attrazione omosessuale s’inneschi tra i due. Ma è davvero così? O non sarà invece che il ragazzo, deciso a difendere a ogni costo la madre, ha scoperto il lato debole di Phil e intende approfittarne? Lo spettatore dovrà scoprirlo da sé, tendendo le antenne e investigando - anche - su una morte sospetta per avvelenamento da antrace bovina. Senza dimenticare che l’ambiguità dei personaggi è il pregio maggiore di un film dove i ruoli di vittima e carnefice si sparigliano, mentre il sadismo dei ‘deboli’ più superare quello dei prepotenti.

Roberto Nepoti