Report n. 56 - GDL Leggerezza - Cecità di José Saramago

Marzo 2020 - LVI incontro del Gruppo di lettura Leggerezza.
Occorre precisare che questo incontro non è avvenuto di persona, per le restrizioni sanitarie in vigore, ma per via digitale. Essendo stati raccolti i commenti pervenuti per e-mail, è mancato, naturalmente, il consueto vivace dibattito. Può sembrare una singolare coincidenza, ma il libro era stato scelto ben prima
del diffondersi dell'attuale pandemia; inutile dire quanto sia attuale in questi tempi.

Molti lettori riferiscono un primo impatto molto faticoso, ma poi il libro è diventato sempre più avvincente. Qualcuno lo ha amato moltissimo, qualcuno lo considera un capolavoro. Una sola persona ammette di non essere riuscita a terminare la lettura.
Ci sono due piani di narrazione, è come se raccontassero in due, chi narra gli avvenimenti, i fatti, e chi riporta osservazioni, considerazioni, esame veloce di modi di pensare, credere.
Si tratta di una scrittura fluida, che si avvale di un lessico ricco ed elegante in ogni situazione, anche la più cruda. L'eliminazione della punteggiatura nel discorso diretto suggerisce l'idea di un flusso di coscienza che non si interrompe mai. Una scrittura geniale, piena di simbolismi. Riuscire a costruire un intero romanzo senza un solo nome proprio, senza mandare in confusione il lettore, è semplicemente eccezionale. I contagiati non hanno nome perché hanno perso la loro identità, accomunati dalla malvagità,
dall'egoismo: "E' di questa pasta che siamo fatti, metà di indifferenza e metà di cattiveria" . Il personaggio del cane delle lacrime è uno dei più riusciti del realismo magico sudamericano, così come l'indimenticabile scena delle tre donne che insieme si lavano nude per liberarsi dell'orrore e delle costrizioni subite.
Tutta la vicenda è immersa in un'atmosfera drammatica al punto da evocare i gironi danteschi. Una improvvisa e inspiegabile cecità collettiva scatena i più bassi istinti dell’uomo, che troverebbero giustificazione se fosse solo lotta per la sopravvivenza, invece diventa lotta per la sopraffazione.
La speranza, la luce della ragione, è tenuta viva da una donna, la moglie del medico, che unica conserva la vista, cioè la solidarietà, la dignità, la capacità di vedere gli altri, in una parola: l'umanità, e la mette al servizio dei suoi compagni di sventura. Nel finale la donna arriva finalmente al riposo, una possibilità di ritirarsi dalla difficilissima difesa di valori, lasciando il testimone agli altri. E' il simbolo della tenacia,della forza. Questa figura ha anche un compito di accoglienza e di consolazione, che non significa accettazione passiva; all'occorrenza, difatti, arriva a gesti che mai avrebbe potuto concepire nella vita normale. Ma - lo stiamo imparando, purtroppo - di normale in tempi di pandemia non c'è più nulla.
Anche se il finale liquida il futuro e l'umanità da ricostruire un po' troppo in fretta, il senso del libro chiarisce che avere occhi non basta, siamo ciechi a tante cose, anche se ci vediamo perfettamente.
Merito di Saramago, sublime scrittore che, al pari di Shakespeare, ha esatta percezione e conoscenza della natura umana, averne saputo rappresentare l'eterna dicotomia - le atrocità di cui l'uomo è capace, indifferenza, cattiveria, disumanità, che albergano dalla notte dei tempi nell'animo umano, e la solidarietà intelligente, l'altruismo - in un romanzo che ha regalato emozioni indimenticabili.

Per l’appuntamento di aprile 2020 si leggerà:
Ritratto in seppia di Isabel Allende
Per l’appuntamento di maggio 2020 si stabilisce di leggere:
Tre uomini in barca di Jerome K. Jerome

Sofia Iaccarino