Prima di Grisham

La tentazione è forte; credere che quello che stiamo facendo - scrivere - sia importante, la cosa più importante di tutte.
Così come forte è, a tratti, l'impressione esattamente opposta e cioè l'assoluta inutilità delle nostre vite messe in gioco scrivendo, e raccontando.
Probabilmente queste sensazioni sono vere entrambe, e mi spiego meglio.
Da quando ho avuto l'impressione che, a tratti, la "coscienza civile" e il "sociale" siano diventati gli ammortizzatori sociali della cultura con meno talento, credo che sia importante che qualcuno faccia qualcosa di non decisivo, di poco importante e perfettamente futile, come raccontare una storia, descrivere un bacio, sbirciare una ragazza dietro la finestra. Il mondo - e la letteratura non fa eccezione - è civilmente assediato da gente che intende salvarlo, e proprio per questo suppongo ne serva altra che si decida, una volta per tutte, a fargli prendere un pò d'aria e a sgranchirsi le gambe.
Non dovrete far altro che scegliere fra operare l'umanità a cuore aperto, o semplicemente offrirle un gelato in riva al mare. Per me, decidere, è stato uno scherzo.
Ecco perchè insomma, è fondamentale che qualcuno spenda la sua vita attorno alle cose futili, quelle che il vento cancellerà e che la polvere seppellirà.
L'unica chance di sopravvivere, di oltrepassare la fetta di giorni che ci è data di vivere è quella di lasciarsi distrarre dal fruscio delle vite, soprattutto quelle altrui, e scoprire quanto, a volte, somiglino alla nostra, nel bene e nel male. Scrivere è accorgersi di non aver nulla di speciale, e nonostante questo custodire la propria banalità come l'unico, autentico, dono da barattare con gli sconosciuti. Se riusciremo a dire "Io piango come te" scrivendo in realtà "Sai, noi due ridiamo per le stesse cose" avremo composto il romanzo del secolo.
Fidatevi, ogni altro piano - per fortuna - è destinato a saltare.
Ve lo dice uno che per caso, abitando e lavorando in centro, si è accorto della puntualità con la quale sua nonna transitava per la Feltrinelli sotto le due torri, e (nel reparto gialli e noir) indicava alle amiche il punto nel quale era depositato il mio romanzo.
Avevo già notato come, soprattutto il sabato mattina, lei e le sue amiche entrassero in libreria, ma mi limitavo ad osservarle dalle vetrate.
Poi, un giorno, le ho beccate. Ero dentro anch'io.
Lei non mi aveva visto, e parlottava assieme ad altre due signore, io ero lì per fare un regalo che sarebbe finito dritto in via San Felice.
Quando mi sono avvicinato ho capito che non tesseva le lodi del mio libro, che non ragionava attorno l'imprescindibilità della "fotografia che avevo provato a scattare al presente" (parlavo così, rendetevene conto) ma si riempiva di gioia e di orgoglio per una cosa perfettamente idiota.
"Vedete, è questo qua - diceva alle signore indicando il mio romanzo - Governa, quello prima di Grisham...".
"Prima di Grisham, complimenti..." ripetevano con tono ossequioso le amiche.
"Ma non ti interessa di cosa scrivo?" le ho detto, un pò risentito, uscendo allo scoperto e facendo irruzione nel gruppetto.
"Veramente no - ha risposto mia nonna, con la naturalezza di una bambina, senza staccare lo sguardo dallo scaffale - sono solo felice che le tue cose siano qua dentro, fra le boiate e i capolavori. Questo mi basta".