Il libro che non c’è

Sono qui, sotto gli occhi di tutti. Sono esile. Le vocali, le consonanti in me si fondono nell'iride di chi osa volgere lo sguardo sul mio titolo senza mai vedermi. Petalo di una copertina senza immagini, spoglio nel suo essere breviario di giorni restii a sorgere, le mie pagine racchiudono tutti i vespri recitati a compieta. Giungono rumori al mattino quando aprono i battenti, respiri mi sfiorano, sento i loro pensieri. Il vecchio pensa ad un romanzo d'amore, la ragazza alla tesi da discutere entro l'estate, l'affermato poeta è roso dall'invidia. Mani si avvicinano, prendono anime salvate dagli olocausti, le osservano, le giudicano, le riconsegnano al tempo che scorre sullo scaffale. Lasciano impronte sulla quarta di copertina, retro di una continuità senza soluzione. Mi passano accanto migliaia di dita, di palpebre tese nei corridoi. Quando le luci si affievoliscono per poi spegnersi come tante flebili candele si illuminano tutte le copie, dalle più umili alle più rare. Preghiere silenziose si innalzano allora, voci di chi un tempo attraversava linee d'ombra, di chi nello spettro solare trova tuttora il sentiero sul quale iniziare un viaggio che lo conduce al centro della terra posto qui in questa biblioteca come in ogni altra biblioteca. Un libro chiama altro libro, una pagina in inglese preannunzia una in italiano che rinvia al francese, al gotico tedesco: sono lessici familiari che racchiudono sconfitte, avventure, echi. Fuori la città crede di poter vivere. Al mattino si riprende secondo l'orario previsto, ma c'è un'ora durante il giorno nella quale passeggia per un tempo lunghissimo una ragazza muta. Cerca la mia sostanza. Mi passa vicino, sa che sono lì, giunge alle sue narici il fremito delle mie pagine, con il tatto accarezza tutte le edizioni di ogni scaffale, non ha bisogno di alcuna classificazione per potere catalogare, ma neppure lei riesce a vedermi, neppure la sua follia può individuarmi: sono il libro che non c'è, il libro ancora da scrivere.